KEITH HARING A MILANO
L’ARTE PER TUTTI: NON SOLO UN MANTRA, MA ANCHE UN INVITO. IL MONDO DI KEITH HARING A MILANO
A ventisette anni dalla sua morte, avvenuta il 16 febbraio 1990, Milano dedica, fino al 18 giugno 2017, un’ampia retrospettiva a Keith Haring, maestro indiscusso della street art. Con 110 opere esposte, alcune delle quali inedite e per la prima volta in Italia, la mostra “Keith Haring. About Art”, curata da Gianni Mercurio, è promossa dal Comune di Milano, Palazzo Reale, Giunti Arte e 24 ORE Cultura ed è stata realizzata grazie alla collaborazione scientifica di Madeinart e al contributo della Keith Haring Foundation.
Nato il 4 maggio del 1958 in Pennsylvania, Keith Haring trascorre la sua infanzia tra fumetti e cartoni, un mondo che lo influenzerà per sempre e dal quale continuerà ad ispirarsi per la sua produzione artistica. A 18 anni si trasferisce a Pittsburgh, dove si iscrive ai corsi di grafica pubblicitaria e dove ha modo di studiare gli artisti che in quegli anni dominano il mercato dell’arte mondiale.
Figlio della cultura di strada, inizialmente altro non è che un emarginato, dipendente da alcool e droga, con i quali dovrà fare i conti per tutta la sua breve, ma intensa, vita.
Nel 1978 entra alla School of Visual Arts di New York, facendosi conoscere con i suoi primi subway drawings, i murales realizzati nelle metropolitane.
É il gallerista Tony Shafrazi, nel 1982, che organizza la prima mostra interamente dedicata ai suoi lavori: da quel momento Keith Haring intraprende la strada del successo, esponendo in tutto il mondo e avvicinandosi ai grandi nomi del panorama artistico di quegli anni: Warhol, Basquiat e Madonna, per citarne solo alcuni, diventano suoi cari amici e sostenitori.
La sua arte è esplosiva, libera e universale.
I suoi lavori sono familiari anche a chi non sa niente di lui: gli omini stilizzati e in movimento sono celebri in tutto il mondo e lo hanno reso un simbolo della cultura e dell’arte pop degli anni Ottanta. Riprodotti su poster, magliette e gadget, i disegni dello street artist americano spopolano ancora oggi e si portano con sé un fascino tutto particolare, semplicemente perché sono facilmente riconoscibili e parlano a tutti, in linea con la sua filosofia di “Popular Art” .
La street art rappresenta infatti un linguaggio trasversale che dialoga in modo diretto con l’osservatore. É un’arte che sembra immediata, anche se solo in apparenza facile: affermatasi negli Stati Uniti dalla fine degli anni Sessanta, come l’arte frutto dell’istinto per antonomasia, in realtà cela rimandi culturali molto profondi ed è, per sua essenza, narrazione di storie, che possono subire gli effetti irreversibili dello scorrere del tempo. Praticata nella maggior parte dei casi da minoranze etniche o comunque dagli “emarginati”, è stata plasmata dal tempo, che le ha permesso di approdare in musei e gallerie.
Sospeso costantemente tra sregolatezza e umanità, Haring rappresenta l’idea di un artista complesso e intellettualmente predisposto a conoscere ciò che è venuto prima di lui. Forte sostenitore dell’arte per tutti, l’artista americano, seppure per certi versi disinteressato al mercato dell’arte, si è affermato all’interno di esso per aver inventato e trasmesso un nuovo linguaggio urbano, costituito da sagome che richiamano il mondo infantile e primitivo, tutte delimitate da uno spesso segno nero che si rifà al fumetto.
La mostra a Palazzo Reale offre una visione completa e profonda della vita e della produzione artistica di Haring. Le sette sezioni costituiscono un apparato critico che vuole far emergere prepotentemente il background culturale dell’artista, il quale non è stato solo esponente di una controcultura socialmente e politicamente impegnata, ma anche un esempio di come segni grafici, linee e cromie accese dialoghino con le sue fonti d’ispirazione. Durante la visita si avrà infatti l’opportunità di osservare alcuni capolavori del graffitista in stretto rapporto con delle opere di Picasso, Pollock, Klee e Mondrian.
l fil rouge che collega tutte le tematiche attraversate in questa mostra esprime la volontà di porre l’accento su come Keith Haring sia stato un uomo colto, che ha studiato l’evoluzione dell’arte e che si è immerso nella visita di moltissimi musei.
Ispiratosi all’iconografia antica e cristiana, afferma più volte che la sua pittura è il risultato delle sue esplorazioni personali: per questo motivo l’arte deve essere in grado di comunicare da sola. Espressione di libertà, colorata di tonalità pop, è un messaggio di ottimismo e metafora di speranza, nonostante affronti tematiche proprie del suo e del nostro tempo, quali la droga, il razzismo, l’Aids, la minaccia nucleare e gli effetti della tecnologia.
Strettamente legato ai grandi maestri del passato, accoglie la tradizione assimilandola e trasformandola: nelle opere esposte è possibile notare come l’etnografia, il primitivismo e il Rinascimento costituiscano un solido punto di riferimento per la sua arte.
Appartenente alla prima generazione che ha sperimentato il potere delle immagini all’inizio dell’era telematica, pone sempre al centro l’individuo, in una sorta di Umanesimo rivisitato e contemporaneo che riflette una visione antropocentrica della realtà. I temi sociali rimbalzano fuori dalle sue opere, nel tentativo di costruire un’arte universale, che possa essere interpretata da ognuno e dove l’omino in movimento viene decifrato secondo le mitologie individuali.
Efficace comunicatore e storyteller della sua epoca, Keith Haring ritiene che l’arte debba esprimersi spontaneamente e l’artista debba agire in pubblico: è la metropolitana, infatti, il suo laboratorio preferito, luogo per eccellenza di passaggio, scambio e incontro, dove la performance artistica si fa continua. L’inchiostro, che sembra schizzare fuori dalla superficie, attira lo sguardo di chiunque si trovi in questo labirinto sotterraneo. Tutto questo è fruibile e percepibile, al termine del percorso espositivo, attraverso delle proiezioni video che immergono il visitatore in uno scenario buio dove la performance artistica diviene soggetto.
I messaggi che le sue opere vogliono trasmettere sono dunque pieni di speranza e di ottimismo, anche quando gli viene diagnosticato l’Aids nel 1988.
Non smette di realizzare murales in tutto il mondo su differenti tipologie di edifici e persino sul Muro di Berlino, dove darà vita ad un murale lungo oltre 300 metri, in prossimità della Porta di Brandeburgo. Oggi quel messaggio artistico di pace non esiste più in quanto è stato distrutto con la caduta del muro nel 1989.
Questa mostra, che racconta di questo particolare episodio, ha l’obiettivo primario di ricostruire in modo esaustivo la storia e la produzione artistica di Keith Haring. Non solo grandi tele dalle vive tinte unite, ma anche opere meno conosciute che si rifanno per esempio all’archeologia classica: è il caso dell’imponente opera esposta a confronto con la riproduzione della Colonna Traiana. Colori, dinamismo positivo e gioia sono gli elementi principali che affiorano dalle opere esposte e da quelle site-specific ancora visibili, come l’ultimo suo grande lavoro pubblico Tuttomondo presente a Pisa.
La ricerca di Haring dunque include riferimenti molto significativi e profondi: la sua capacità di distinguersi dai suoi contemporanei, la singolarità con la quale ha interpretato il significato di arte popolare e la trasgressione in cui ha vissuto, hanno reso immortale questo genio.
É il suo stile unico e inconfondibile quello che lo spettatore si porterà con sé una volta terminata la visita. La sintesi narrativa di mitologie, tradizioni classiche, di arte tribale, di cartoonism e di strumenti del suo secolo convergono nel profilo poliedrico ed innovativo di un artista che è stato in grado di creare un linguaggio originale che parla a tutti.
Per maggiori informazioni
Keith Haring. About Art
Dal 21.02.2017 al 18.06.2017
Palazzo Reale, Piazza del Duomo, 12 – Milano